I qanat – Iran

La mancanza di laghi e di grandi fiumi costrinse i primi abitanti dell’altopiano iranico ad insediarsi tra le pendici delle montagne, dove le piogge, che erano più frequenti rispetto al resto del territorio, e lo scioglimento delle nevi incrementavano le falde e le sorgenti pedimontane. Ciò accadeva tra il II e il I millennio a.C. dove la vita, ancora più nomade che stanziale, ruotava esclusivamente intorno all’allevamento.
Fu solo grazie alla geniale invenzione dei qanat che si poterono formare i primi veri e propri insediamenti urbani, lontani dalle impervie e disagevoli montagne, dove l’agricoltura, e successivamente l’artigianato, divennero le attività sociali ed economiche predominanti.
Il qanat è un acquedotto sotterraneo per il trasporto dell’acqua dalle falde montane fino al sito desiderato. Nell’altopiano si stima che nel corso degli ultimi tre millenni siano stati scavati circa 200.000 chilometri di tunnel, con qanat lunghi mediamente tra i 30 e 60 chilometri; ma ne esistono anche di dimensioni maggiori. Desta curiosità constatare come dal termine qanat derivino anche i nostri “canna” e “canale”.
La tecnica costruttiva del qanat consiste nella realizzazione di un canale sotterraneo orizzontale, con la pendenza ottimale calcolata per far scorrere l’acqua, che unisce la falda di approvvigionamento con il punto di arrivo a valle dove si trovano i campi da coltivare e il centro abitato. L’acqua deve defluire con una giusta velocità: non troppo lenta per evitare la stagnazione, non troppo veloce poiché potrebbe dilavare le pareti del tunnel.
Per togliere la terra di risulta durante l’effettuazione dello scavo della galleria orizzontale sotterranea occorre creare una catena di pozzi verticali di estrazione che, essendo collegati tra loro e con l’esterno, garantiscono una buona ventilazione e consentono agli operai di procedere in profondità e di respirare agevolmente.
Sono evidenti le difficoltà che si dovevano superare per eseguire i lavori di questi impianti di grande ingegneria idraulica, che potevano durare anche per diverse generazioni, a seconda della lunghezza e degli ostacoli. Soprattutto nel periodo antecedente l’introduzione della bussola, del livello e dei mezzi meccanici di lavoro, la realizzazione dei qanat è stata possibile solo grazie al grande impegno e alla fatica degli operatori, i quali tra l’altro erano anche mal retribuiti e costantemente esposti a disagi e rischi; basti pensare che, per motivi di pendenza, i pozzi verticali potevano essere profondi oltre 100 metri e che per gli scavi si sono sempre utilizzate le stesse tecniche millenarie e le semplici attrezzature: badili, picconi, gerle in pelle, fili a piombo, lampade a olio e carrucole.
Oggi, per il mantenimento efficiente dei canali esistenti, si utilizzano ancora le stesse tecniche e gran parte degli utensili tradizionali, ma con fatica e rischio inferiori, alleviati dall’utilizzo di mezzi meccanici che consentono anche di ridurre notevolmente i tempi di esecuzione. L’adozione di caschi di protezione per il capo e l’uso di trapani elettrici, lampade elettriche e livelli elettronici hanno migliorato sensibilmente la sicurezza e facilitato il lavoro.
La manutenzione dei qanat è indispensabile, perché gli smottamenti e soprattutto le ostruzioni provocate dai venti carichi di sabbia sono tra le cause più frequenti del mal funzionamento e del progressivo arresto di questo sistema di canalizzazione. La cattiva gestione o la dismissione di un qanat renderebbero vano il lavoro dei lunghi anni occorsi per realizzarlo e innescherebbero un conseguente processo di desertificazione, poiché laddove un qanat si dovesse prosciugare, un terreno verde e rigoglioso tornerebbe ad essere un luogo brullo e arido.
A seconda delle dimensioni del centro abitato, e quindi del fabbisogno d’acqua per i residenti, per gli orti e per i giardini da irrigare, un qanat può essere rifornito da più tunnel sotterranei provenienti anche da luoghi diversi che convogliano in quello principale prima dell’ingresso in città.
A vederli dall’alto, i qanat sono formati da un susseguirsi di buchi nel terreno, di circa un metro di diametro e distanti 40-50 metri l’uno dall’altro, con andamento rettilineo, assomiglianti al passaggio lasciato da una talpa gigante.
Per motivi climatici, queste canalizzazioni non poterono essere costruite fuori terra come accadde, molto tempo dopo, per gli acquedotti di epoca romana, poiché il calore intenso avrebbe fatto evaporare gran parte del liquido durante il lungo tragitto. Viceversa, il vantaggio di questo metodo rispetto agli acquedotti è che l’acqua, scorrendo ad una profondità rilevante, giunge a destinazione pulita e fresca.
Grazie all’uso dei qanat, i caravanserragli collocati lungo le principali vie di comunicazione e le città dell’altopiano iranico erano e sono delle vere e proprie oasi dove l’acqua è presente in abbondanza. Per un migliore utilizzo, ancora oggi questa viene conservata in apposite e suggestive cisterne, scavate nel terreno e coperte da una cupola, dove gli abitanti, scendendo per una ripida scalinata, possono riempire i secchi direttamente da un rubinetto collocato appena sopra il fondo del serbatoio.
Nelle vecchie abitazioni, soprattutto in quelle risalenti al periodo qajaro, appartenute a ricchi commercianti e a notabili, è frequente trovare un qanat che attraversa direttamente il piano interrato, dove l’acqua, passando da casa in casa, poteva essere prelevata senza doversi recare alla cisterna.
Testimonianze storiche ci confermano che i qanat erano già in largo uso in epoca partica e sasanide e che questa tecnica fu esportata in altre regioni dell’impero persiano che possedevano condizioni naturali e climatiche simili. La tecnica di costruire i qanat fu appresa dal mondo arabo con la conquista della Persia (637 d.C. circa) e fu poi dagli stessi arabi esportata in quei Paesi dove espansero il loro dominio; non è quindi un caso che troviamo i qanat, più o meno simili, in Sicilia, in Spagna, in Egitto e in tanti altri Paesi.

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